domenica 21 giugno 2020

Dia de los muertos

Marcos, Frida, Leon e Marta vivono per strada, si arrangiano truffando i turisti, rubacchiando nei negozi e nei mercati, commerciando cose. Li ho conosciuti nel campus de la Universidad Autónoma de Ciudad de México, un posto mostruoso fatto di edifici grigi e bianchi in mezzo ad un mare di verde.
La notte del dia de los muertos è una notte di falò e di musica, di ghirlande di fiori, di tequila in bottiglie squadrate, di tabacco rollato e di corpi sudati. Li ho conosciuti lì, ero con un'amica che mi aveva accompagnato e che persi quasi subito; si chiamava Flora, studiava diritto commerciale marittimo e lavorava alla reception di un circolo di golf a Queretaro. Dopo la laurea avrebbe lavorato per una compagnia di import/export al porto di Veracruz. Non la rincontrai più.
Non ricordo come successe ma mi ritrovai a sedere con loro quattro intorno ad un fuoco, aspettando che i morti tornassero. Bevemmo birra calda tutta la notte parlando soprattutto delle persone che avevamo perso. Erano storie molto tristi, alcune simili tra di loro. Frida aveva perso sua madre più o meno come era successo a me, lei il giorno dopo la sua morte si era tatuata due piume sotto gli occhi, voleva ricordare quelle carezze che non avrebbe più ricevuto. Leon aveva perso un fratello vicino Tijuana, ammazzato sul confine con gli Stati Uniti; era un coyote, accompagnava persone che volevano lasciare il paese per cercare fortuna in California. Intorno a noi le persone sciamavano seguendo traiettorie molto complicate, la musica sembra più lontana e iniziava a fare freddo. Il falò e le birre calde si stavano esaurendo, ci sdraiammo vicini coprendoci con quello che avevamo. Attendemmo così, con gli occhi puntati al cielo.
Ogni tanto qualcuno diceva qualcosa.
Era bello stare lì in attesa.

Epilogo

  La prima immagine di quella giornata è il mio viso riflesso nello specchio del bagno della casa in cui sono nato, quella in via Cristoforo...