lunedì 6 giugno 2022

Epilogo

 La prima immagine di quella giornata è il mio viso riflesso nello specchio del bagno della casa in cui sono nato, quella in via Cristoforo Colombo, con la sola ferrovia a dividerla dal mare. Oggi la casa è vuota, tranne me non ci abita nessuno: una famiglia smembrata tra dissapori e malattie. Rimpiango persino le grida dei litigi di noi fratelli o i toni esasperati delle ragioni di mia madre sulle azioni di mio padre. A tanto silenzio non riesco ad abituarmi, è come ritrovarsi in una stradina di campagna all'alba dopo una notte trascorsa in discoteca. Mi sto radendo perché lei vuole che sia in ordine, perché pare che le persone mi giudichino anche per come mi presento e lei, strano, temeva i giudizi. Li temeva a tal punto da rinunciare a vivere davvero pur di apparire all'altezza dei suoi ruoli: madre, moglie, lavoratrice, donna di casa. Le è sfuggito però quello di donna, l'aspetto che prima di ogni altro avrebbe dovuto curare nella sua vita. Era domenica, forse era l'11 giugno, non ne sono certo. Devo averlo rimosso, e anche quando oggi vado a trovarla, evito di verificare questo particolare perché mi costerebbe fatica, perché tornerei a vivere certe angosce e perché non cambierebbe nulla di quello che successe quel giorno, anzi di quello che vissi. Il giorno prima, mentre andavo via, mi aveva chiesto del tonno e quando uscii di casa avevo con me una bustina con dentro una confezione da due, di quello col grissino sul cartone che a lei piaceva tanto. Sapevo che non l'avrebbe mangiato, non mangiava più nulla, ma glielo portavo perché me lo aveva chiesto con un tono trasognato, come se mi stesse chiedendo chissà quale prelibatezza e perché, in fondo, una speranza che fingevo di ignorare occupava ogni particella del mio essere. Quella che quel tonno tanto desiderato potesse guarirla, compiere il miracolo, essere il Sacro Graal finalmente venuto alla luce. Percorro delle strade di collina che conosco appena, così vicino a casa eppure nuove, tenendo la mente occupata nel memorizzare le immagini che sfilano oltre il parabrezza: scatto istantanee del mondo esterno così inconsapevole e le associo a pensieri divertenti, surreali o mistici. Immagino che una madonna mi si pari davanti e mi dica di stare tranquillo, che sarebbe andato tutto bene alla fine. Che questo è un periodo di sofferenza per tutti, che è una prova che stavamo affrontando ma che era quasi finita e ce la stavamo facendo. Che anche suo figlio aveva sofferto tanto e l'avevano perfino ucciso ma che poi è tornato da lei. E che anche noi, alla fine, saremmo tornati a casa per vivere ancora. La prima volta che percorsi quelle strade, lei era con me. Seduta al mio fianco, sottile, rada, quasi trasparente, di una fragilità che mi costringeva a farmi forza per non scoppiare in lacrime ad ogni sguardo che mi lanciava. Ad uno stop mi disse, guardandomi con durezza, che la stavo portando a morire e che voleva tornare a casa. Non so come la convinsi che dovevamo andare, che in quella clinica l'avrebbero curata meglio di qualsiasi ospedale in cui eravamo stati. Ma ormai lei aveva parlato, aveva detto "morire", un verbo che fino ad allora avevamo sempre aggirato, esattamente come il nome della sua malattia. A tutto questo penso mentre percorro il viale che porta alla villa, una volta residenza di ricchi proprietari terrieri e oggi teatro dell'ultimo atto di tante commedie o tragedie o farse che chiamiamo vita.

Salgo al piano ed entro nella sua stanzetta. Il sole trapela attraverso la veneziana bianca colpendo il letto come tante lame fulve. Il letto è spoglio. C'è soltanto il materasso coperto da una federa candida. Il cuscino è posto ai piedi del letto. Il linoleum stride sotto la gomma delle mie scarpe quando torno indietro per sincerarmi che quella sia proprio la sua stanza. Lo è. Allora mi incammino per il corridoio in cerca di qualcuno. E' domenica e non c'è nessuno in corsia. Penso che sono tutti al mare. Arrivo alla guardiola con la bustina del tonno in mano. La signorina mi riconosce e viene fuori per dirmi qualcosa. Mi guarda come se avesse una colpa da confessare. Io prendo a scuotere la testa di fronte a quelle parole incomprensibili. Parla con gli occhi bassi, le dita intrecciate in grembo, i piedi perfettamente paralleli. Poi mi porge un sacchetto con dentro la fede di lei, un altro anello che aveva tanto desiderato e che alla fine si era regalata ed un braccialetto d'argento, quello che le avevo donato io quando guadagnai i primi soldi e che dei ladri rubarono quando un'estate ci svaligiarono casa. Lei la mattina seguente come prima cosa andò a ricomprarne uno uguale e lo portò per anni, fino ad ora.
Mi parlano sottovoce dicendomi che, se volevo, potevo entrare. Chiudono la porta di ferro e sento lo scrocco scattare rompendo il silenzio irreale che mi circonda. E' l'ultima volta che le parlo e le dico molte cose, tante che non ero riuscito a dirle fino al giorno prima ed altre che ora doveva sapere. La lascio lì, dove me l'hanno fatta vedere, su un marmo bianco coperta da un lenzuolo bianco e torno a casa.
Al di là della porta entro nella più grande solitudine che abbia mai provato, in cucina metto sul tavolo la bustina con il suo tonno, l'unica cosa ancora reale della giornata.

Non mi scordo di te


Come stai? No, come stai davvero se è possibile "stare" lì dove ti trovi. Mi è difficile immaginarti, quanto tempo è passato? Tantissimo da non poterci credere. Se penso a quanto siamo stati insieme e a come abbiamo vissuto quel tempo mi struggo di malinconia. Con te ho fatto tra le cose più pazze della mia vita e se penso a chi sei la questione si fa ancora più incredibile. Mi domando spesso, ogni volta che ti penso, se davvero tutto finisce. Perché l'amore che ci legava era così intenso che avrebbe dovuto resistere anche a questo contrattempo, invece io non ti sento più. Magari è colpa mia, forse non sono abbastanza sensibile e mi lascio sfuggire i tuoi segnali. 
Non dirmi che eri in quella goccia che all'improvviso ha deviato la sua direzione divergendo dalle altre... Me ne sono accorto e l'ho seguita finché non è diventata piccola piccola e si è fermata sul bordo della finestra, eri tu? Devo essere più attento, anzi no, devo essere più fiducioso, anzi no, devo essere più innocente. Ma l'innocenza prevede di non essere consapevoli e io sono escluso in partenza. Dovrei trovare il modo di rinnovarmi, di purificarmi per tornare ad essere innocente. Come si fa? Ci vuole un prete, un rabbino, un santone, un viaggio, una penitenza, un sacrificio, un voto, una confessione, un pellegrinaggio, un altro battesimo? Oppure ti raggiungo io e finalmente scopro la verità. Finalmente avrò modo di capire se mi ami o mi hai soltanto amato. Pensavo fosse complicato solo quì, che dopo sarebbe stato più semplice, che si acquisissero dei poteri per fare cose straordinarie. Immaginavo un'esistenza di libere scelte ingiudicabili, credevo ci sarebbe stata una progressione del tempo dentro il quale si potesse essere se stessi, con la possibilità di andare e venire dall'una all'altra parte per sistemare le cose. Mi hai dimostrato che non è così o, ancora una volta, che sono io a non vedere. E' che abbiamo lasciato tanto in sospeso; rimpiango il tempo in cui avrei potuto ma ho rimandato. Ho un baule ricolmo di cose per te, hai perso gran parte della mia vita e io della tua. Che cosa "fai" mentre io vivo? Non posso credere che non senta la necessità di venire a cercarmi. Ho bisogno della tua approvazione per questa vita, ho voglia di dirti che persona sono diventato. Tu e soltanto tu puoi emozionati di fronte ai miei pensieri, come quella volta, ricordi, quella volta che scrissi un biglietto a me stesso e tu ridendo mi dicesti che ti facevo paura. Io, forse per la prima volta, scrissi quello che sentivo e tu, nella tua innocenza d'animo, ti accorgesti che avevo assunto un'identità. La riconoscesti subito perché eri l'unica in grado di poterlo fare. Oggi, a conoscermi, impazziresti per me. Trascorreremmo notti intere sul balcone davanti al nostro mare a rompere quei silenzi che ci piacevano tanto con discorsi presi nel mezzo, come se fossero racconti a poche pagine dalla fine.

giovedì 10 febbraio 2022

Serra nel deserto

 Mi capita di accorgermi che tutto quello che ho dentro, così determinante per me, è appena sfiorato dagli altri. Mi è capitato di soffrire per questo, adesso ne sono felice.

Coltivo me stesso in una serra nel deserto.

sabato 23 ottobre 2021

Nairobi

C'è questo bambino un pò più alto degli altri che ci guarda come fossimo un'occasione che sta sfuggendo. La cravatta rossa della sua divisa è sollevata a mezz'aria, indicando la direzione opposta verso cui stanno andando tutti quei bambini, come a volerci dire che loro ce l'avrebbero fatta, che loro stavano uscendo da una scuola e stanotte non avrebbero dormito tra gli spartitraffico di Mama Ngina Street.

Adios

Ho lasciato La Habana ieri, sotto una pioggia feroce che ha reso ancora piu' triste il distacco dalla citta'. Dal Vedado il taxi mi ha condotto alla estacion de autobus Viazul. Ho chiesto all'autista di percorrere un tratto di Malecon per ammirare ancora una volta la curva che termina al Morro. Vecchi edifici corrosi dalla salsedine, panni stesi da un lato all'altro delle vie brulicanti di vita, vecchi dallo sguardo fiero con mozziconi di sigaro tra le labbra, ragazzini in divisa bianca e blu che si baciano davanti a Coppelia. Penso ai momenti trascorsi tra queste vie con queste persone, ognuno vissuto come un'intera vita.

venerdì 22 ottobre 2021

Thai family

Ci eravamo allontanati da qualche giorno dal moto perpetuo delle nostre esistenze, stanchi e consumati da un anno impegnativo che ci aveva sfinito. Rifugiarci a Bangkok ci era sembrato terribilmente affascinante e avventuroso ma ora ne avevamo abbastanza di templi, mercati e taxi con i condizionatori a palla. Stavamo fuggendo dal suo caos umidiccio e assordante in un autobus a due piani verde e giallo, ci sentivamo così liberi e lontani da tutti e tutto da fantasticare sulla nostra vita lì, in una rinascita esistenziale, a piedi nudi e gambe incrociate sotto il pancione dorato di un Buddha sornione. Magari ero più io ad immaginarci sbarcati così ad est ma i ragazzi erano affascinati dall'idea e facevano l'elenco dei lati positivi della cosa, mia moglie invece manifestava civilmente il suo parere negativo, confermando la sua paura al cambiamento al di là della natura progressista che sbandierava ad ogni occasione. La sua inclinazione a capire, ad accettare e anche a sacrificarsi per vedere felice la sua famiglia era in netto contrasto con l'idea di un "vero" cambiamento. Ovviamente aveva ragione, l'equilibrio di cui eravamo in cerca non era lì, né in un posto diverso dalla nostra casa ma io soffro terribilmente il fascino dell'ignoto e mi apprezzo soltanto se oltrepasso i limiti, fisici o meno che siano. Certe volte temo che questa mia inclinazione venga scambiata per vanità o per egocentrismo mentre in realtà è soltanto il mio tentativo di essere autentico.

Rientrammo a Bangkok sul TukTuk di una famiglia conosciuta vicino al ponte sul fiume Kwai, la loro bambina ci osservò per tutto il tempo dal vetro che divideva l'abitacolo di guida dai sedili su cui eravamo seduti noi. Sentivamo i suoi genitori discutere, la giovane donna non era d'accordo su qualcosa, lui gesticolava lasciando lo sterzo per poi riafferrarlo scalando una marcia.
Loro da una parte, noi dall'altra.
Tutto sommato niente affatto distanti.

Cammino portoghese

Cammino portoghese, da Oporto a Santiago de Compostela e poi oltre, fino a Finisterre per bruciare sulla spiaggia un indumento indossato durante il cammino. Tappe indimenticabili fatte di fatica, di solitudine, di amicizia, di forza e di piccoli momenti felici. Esperienza segnante, metafora dell' esistenza, che non porta semplicemente da un punto geografico all'altro ma che parte da se stessi per terminare dove non ti aspetti.

Una lezione

Ho appena imparato che per vivere momenti autentici bisogna scegliere e non essere scelti.

Himalayan morning

Sono le 6.30, dobbiamo metterci in marcia e fuori piove a dirotto. Aspetto che il mio sherpa decida che cosa fare. Abbiamo una marcia di una decina di ore per raggiungere un crinale da cui sarà possibile ammirare gran parte della catena himalayana, dall'Everest in giù. Ieri sera ci siamo addormentati vestiti per quanto la stanza era fredda. Sogno una doccia, un bagno ed un minimo di privacy. In realtà la doccia avrei potuta farla ma era sul terrazzo di un'abitazione, all'aperto: ho preferito tenermi in salute. Oltre alla pioggia si sente soltanto il cantare dei galli e la presenza delle montagne tutto intorno. Il verde dei pini si estende a perdita d'occhio, potresti entrare in quella foresta e non uscirne più. Immagino che a breve faremo colazione e, pioggia o non pioggia riprenderemo il camino.

Chang Mei


Chang Mei, nord della Thailandia. In un caffè piccolo piccolo c'è una chitarra, Matteo chiede e si esibisce presentando lo striminzito repertorio che conosce. Il caffè risuona delle note che sono abituato a sentire a casa, così la musica, attraverso mio figlio, collega due mondi tanto diversi e lontani.

Rio Negro y monos

Era il 30 marzo del 2013, in navigazione sul Rio Negro nella giungla colombiana. Erano giorni avventurosi e pieni di scoperte quotidiane, giorni incerti fatti di momenti di solitudine e di incontri insperati. Il mio tempo migliore è quello che ho dedicato a viaggiare. Mi sono sempre ritrovato nelle parole di Sam Gamgee quando è in cammino per lasciare la Contea: "Se faccio un altro passo non sarò mai stato così lontano da casa". La sua paura e la sua eccitazione sono, ogni volta, le mie.

Epilogo

  La prima immagine di quella giornata è il mio viso riflesso nello specchio del bagno della casa in cui sono nato, quella in via Cristoforo...