domenica 17 ottobre 2021

Quando sei ragazzino il concetto di tempo è confuso, non so dire per quanti giorni o settimane questo videogioco è rimasto nell'unica sala giochi che all'epoca c'era a Pineto ma a me è sembrato un tempo lunghissimo, un tempo che ho vissuto in simbiosi con il gioco stesso. Davanti a questo cabinato sono cambiato e cresciuto e mi sono scoperto. L'ho amato fin dalla prima partita, quegli sprite enormi e colorati li avevo sempre davanti agli occhi e la colonna sonora la sentivo in un loop infinito nelle mie orecchie. Mi scroprii subito bravo nel giocarci, guidavo Pacman tra fantasmini e macchinine con agilità e precisione, superavo punti difficili dove altri continuavano a morire e ogni volta che infilavo una moneta nella gettoniera intorno a me si creava una piccola folla di spettatori. L'estate del 1984 la trascorsi tra i muretti della "Vecchietta" e la sala giochi e li mi innamorai di Donatella, una ragazzina di Terni che abitava vicino casa mia. Ogni sera andavo a prenderla, lei saliva in piedi sul portapacchi della mia bici e andavamo in centro. Ogni sera iniziava con Pac-Land, giocavo e mi superavo. Ogni nuova partita mi dava fiducia, sentivo il tifo degli amici e lo sguardo di Donatella che passava dal mio viso allo schermo come se volesse in qualche modo sostenere la tensione di quei momenti. Quando le monete finivano andavamo a sederci sui muretti o a passeggiare sulla spiaggia. Donatella voleva fare la scrittrice ed io il giornalista così ci immaginavamo grandi e facevamo discorsi importanti a cui ripenso ancora oggi. Poi tornavamo ragazzini e parlavamo di come superare quel maledetto livello di Pac-Land in cui morivo sempre e intanto non smettevamo di abbracciarci e di baciarci. La prima volta che la baciai, all'improvviso mentre stava salendo sulla mia bici, lei mi guardò con occhi enormi e non si scompose, non arrossì, non mi schiaffeggiò ma mi guardò dritto negli occhi e disse di andare. La sera che terminai il gioco ed il mio nome ed il mio punteggio furono scritti con una grossa matita rossa da muratore sulla parte posteriore del cabinato, mi ero rasato il viso per la prima volta. Dopo essermi riempito la faccia di schiuma usai un rasoio di mio padre, ripetendo i gesti che gli vedevo fare ogni mattina. Non c'era nulla da radere ma quei gesti mi davano sicurezza e la freschezza del mentolo mi stordiva piacevolmente. Quella sera fui protagonista e provai per la prima volta nella mia vita che cosa significasse raggiungere uno scopo. Ancora oggi porto dentro i giorni di quella estate, i baci di Donatella, il profumo del mentolo e la sensazione che si prova nel sentirsi completi.

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Epilogo

  La prima immagine di quella giornata è il mio viso riflesso nello specchio del bagno della casa in cui sono nato, quella in via Cristoforo...